Notule

 

 

(A cura di LORENZO L. BORGIA & ROBERTO COLONNA)

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XVI – 09 marzo 2019.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: BREVI INFORMAZIONI]

 

Cure Allomaterne: basi neurobiologiche e neuroendocrine. In una minoranza di specie di mammiferi, le madri dipendono da altri per l’allevamento della prole: tali cure allomaterne sono sostenute da meccanismi neuroendocrini, attualmente oggetto di intensi studi. I vari ormoni implicati sembrano avere spesso ruoli diversi nelle differenti specie, ed è stato provato che l’esperienza di questo ruolo modula sistemi ormonali, plasticità neurale e reattività comportamentale. La ricerca che indaga le basi cerebrali di queste cure ai piccoli ha accertato, in specie animali non-umane, che una formazione importante per il comportamento materno, quale l’area preottica mediale, ha un ruolo cruciale anche negli individui animali che integrano il ruolo della madre occupandosi dei nuovi nati. Nella nostra specie sembra che la riduzione della produzione di testosterone e l’aumento dei livelli di ossitocina indotti dalla paternità supportino lo stato di sensibilità e propensione a prestare cure ai figli. Alcuni studi hanno dimostrato che i sistemi neuronici attivati nel cervello di madri e padri esposti alla stimolazione proveniente dai figli sono gli stessi; altri lavori recenti dimostrano che, anche nei prestatori di cure senza legami di parentela con i piccoli, si attiva la stessa rete dei genitori biologici. [Glasper E. R. et al. Front Neuroendocrinol. – AOP doi: 10.1016/j.yfrne.2019.02.005, 2019].

 

Efficace la ILAT nella terapia dell’afasia cronica, ma non la combinazione con la TMS. Un nuovo studio finlandese, condotto da Heikkinen e colleghi, ha confermato l’efficacia della Intensive Language-Action Therapy (ILAT) nel trattamento dell’afasia cronica, come dimostrato in precedenti studi ma, a differenza di quanto è stato recentemente pubblicato, non conferma l’utilità e l’efficacia di combinare la stimolazione magnetica transcranica (TMS). Lo studio, randomizzato e controllato, non ha consentito di rilevare effetti misurabili da parte della TMS. [Cfr.  Heikkinen P. H., et al. Front Neurosci. AOP – doi: 10.3389/fnins.2018.01036, Feb. 4, 2019].

 

Precisione senza precedenti nella mappa dei circuiti cerebrali mediante virus rabico. Nel 1804 il medico tedesco Georg Gottfried Zinke aveva dimostrato l’alta concentrazione di un agente patogeno nella saliva degli animali infettati da virus rabico, ma solo dopo il 1880 Louis Pasteur scoprì la localizzazione cerebrale del microrganismo. Un secolo dopo, si è compreso che questi virus a RNA, nell’evoluzione, hanno sviluppato un adattamento che consente loro di saltare da un neurone all’altro, come accade quando percorrono il tragitto che li porta dalla sede del morso, da parte dell’animale infetto, al cervello della vittima. Il lavoro di virologi e neuroscienziati ha consentito di sfruttare questa proprietà del virus per identificare le cellule dalle quali proviene il segnale ai neuroni di un dato circuito che si vuol conoscere ed analizzare. A questo scopo, i virus rabici sono ingegnerizzati in modo tale da consentire loro di infettare solo i neuroni studiati e saltare una sola volta attraverso una sinapsi. Gli studi realizzati con questa tecnica rivelano una precisione senza precedenti. La nostra società scientifica sostiene l’utilità di un aggiornamento in materia per tutti gli studenti e cultori di neuroscienze.

 

Continuano gli appelli perché si tenga conto del fattore sesso nella ricerca di base. Durante gli scorsi 10 anni, per numerose discipline biomediche inclusa la farmacologia comportamentale, sono stati fatti degli appelli perché fossero inclusi animali di entrambi i sessi nello studio di processi che non sono esclusivi di un sesso. Anche noi, di recente, abbiamo rilevato e sottolineato questo problema. Hughes dell’Università di Canterbury, Christchurch, in Nuova Zelanda, ha proposto un nuovo documentato e dettagliato saggio sull’argomento, nel quale si indica, per periodi, la percentuale di maschi di ratto e di topo rispetto alle femmine. Proporzioni quali 85% di studi condotti con soli ratti maschi e 78% di studi condotti con soli topi maschi nel 2005-2006, sono ancora molto simili nel periodo più recente esaminato (2016-2017), con 82% e 75%, nonostante un decennio di appelli. Hughes suggerisce che, per correggere questa radicata tendenza all’impiego di soli maschi, le agenzie di finanziamento e le riviste di ricerca farmacologica comportamentale dovrebbero, rispettivamente, incentivare e pretendere l’inclusione di animali di entrambi i sessi o valide giustificazioni scientifiche per l’impiego di animali di un solo sesso. [Cfr. Behav Pharmacol. 30 (1): 95-99, 2019].

 

Ritorna di attualità la “La Ricerca dello Spirito nel Cervello”, con i dati e il dibattito. Il fascino degli studi che hanno individuato correlati neurofunzionali delle esperienze mistiche e religiose, così come le diverse possibilità interpretative degli elementi oggettivi acquisiti, è sempre attuale, e una nuova riflessione che ha preso le mosse dal saggio La Ricerca dello Spirito nel Cervello (v. nella sezione “IN CORSO” del sito) è stata promossa dal nostro presidente.

In particolare, sono stati considerati i seguenti argomenti: Neuroteologia e Neuroscienza dello Spirito: senso, utilità e limiti di queste nuove discipline; l’ipotesi del lobo temporale nel 2019; Persinger e il casco in grado di indurre la sensazione di una presenza sovrumana; il cervello nella meditazione buddista; il cervello nell’esperienza mistica di suore francescane; le verifiche delle tesi dell’ateo Persinger da parte dei ricercatori credenti Bauregard e Paquette.

 

Una prospettiva evoluzionistica per studiare la menopausa umana. Gli aspetti psicologici e talora psicopatologici che accompagnano un importante periodo di transizione esistenziale, quale quello del passaggio dall’età fertile alla quiescenza attraverso il climaterio, costituiscono, a ragione, l’aspetto maggiormente indagato della fenomenica fisiologica che si rende manifesta attraverso la cessazione delle mestruazioni (menopausa). Ma un aiuto alla comprensione del senso biologico dei cambiamenti neuroendocrini e neurofunzionali dei processi che influenzano in modo determinante gli stati mentali viene dallo studio secondo una prospettiva evoluzionistica.

In molte specie animali, le femmine muoiono al termine del periodo fertile, mentre in mammiferi acquatici evoluti come l’Orca (Orcinus orca - Delfinidi) si ha la sopravvivenza per oltre un terzo della vita media dopo la cessazione dell’epoca riproduttiva, come accade nelle donne. Le Orche sono state studiate approfonditamente per tratti di socialità simili a quelli umani; infatti, formano famiglie di membri che vivono insieme in unità stabili o pod, e ciascun membro presenta dei contrassegni morfologici distintivi, che consentono una facile identificazione. La sopravvivenza delle femmine per un periodo lungo dopo la menopausa è stata spiegata con un vantaggio evolutivo che esse conferiscono al pod. Tali Orche anziane, più spesso di quelle giovani e dei maschi stessi, guidano il pod fornendo un supporto alla vita di tutti i membri in periodi di mancanza di cibo. Questa lezione proveniente dalla biologia marina suggerisce che la selezione che ha determinato la crescita del periodo post-menopausa di lifespan, derivi da un ruolo sociale attivo che impegna materialmente e intensamente le femmine dopo il periodo fertile.

Lumsden e Sassarini, che hanno comparato la vita dei cetacei alla realtà umana, rilevano che la vita delle donne dopo la menopausa è andata crescendo in molti paesi del mondo occidentale, parallelamente con il diffondersi di stili di vita attivi e sportivi durante la mezza età e l’età avanzata. Fra le malattie che maggiormente affliggono le donne dopo il climaterio vi sono quelle cardiovascolari, l’osteoporosi, le neoplasie e la demenza; tutte queste patologie presentano un’incidenza accresciuta con l’obesità e ridotta nelle persone in perfetta forma fisica. [Lumsden M. A. & Sassarini J., The evolution of human menopause. Climateric. F 4: 1-6, 2019].

 

Dibattito a distanza sul “falso problema della ricerca non ripetibile”. La scorsa settimana abbiamo pubblicato un aggiornamento dal titolo “Il falso problema della ricerca non ripetibile”, nel quale si è sottolineata la forzatura di mettere insieme studi psicologici, neurobiologici e di altre branche della ricerca scientifica sulla base della “non ripetibilità dei risultati”. In particolare, in una glossa a piè di pagina, si osserva: “In altre parole, non si deve prendere a pretesto questo fatto per dare adito e forza alle anacronistiche istanze antiscientifiche di movimenti che, su base preconcetta, tendono a discreditare il metodo sperimentale. Per tale ragione, non è giustificabile mettere insieme studi di branche diverse non riproducibili per ragioni differenti, creando il “caso della ricerca non riproducibile”. Il rischio della prospettiva assunta dalla giornalista freelance Shannon Palus su Scientific American (“Make Research Reproducible”, v. dopo) è proprio la messa in discussione dell’impresa scientifica nel suo complesso: le ragioni dell’impossibilità di riprodurre gli esperimenti sono in una cattiva pratica, non nell’inaffidabilità del metodo”.

Abbiamo ricevuto osservazioni a sostegno dell’idea che la “non ripetibilità” dei risultati sia un male reale che riguarda tutta la ricerca. In particolare, è stato citato il caso di Lorena A. Barba, un ingegnere della George Washington University che lavora su aspetti computazionali della dinamica dei fluidi, la quale non è riuscita a ripetere, nonostante tre anni di tentativi, una simulazione complessa ideata nel suo stesso laboratorio. Si insinua, seguendo una “dietrologia” di Shannon Palus, che il problema possa derivare “dall’avversione dei ricercatori a condividere le tecniche per paura di essere superati” dai concorrenti. A sostegno di questa tesi, si afferma che lo stesso campo di studi di Lorena Barba è nato in un’atmosfera di segretezza a Los Alamos, durante il celebre “Progetto Manhattan” per la realizzazione delle prime armi nucleari.

Gli autori del nostro articolo replicano che una simile grottesca insinuazione si commenta da sola e si spiega con una totale estraneità alle pratiche della ricerca, oltre che con l’intento preconcetto di gettare discredito, accostando in modo arbitrario e illogico un prototipo negativo di applicazione tecnologica della conoscenza scientifica per un fine di morte, allo studio della fisica del movimento di serpenti (Chrysolopelea o flying snake) dei Colubridi, capaci di lanciarsi da rami di alberi e planare fino a terra. È questa, infatti, la branca di studi di Lorena Barba. L’agitata avversione dei ricercatori a condividere le tecniche, denuncia una totale ignoranza della realtà della ricerca scientifica attuale: le tecniche costituiscono la base condivisa di tutta la ricerca; si insegnano e si imparano nei corsi di formazione e rappresentano il riferimento comune per l’interpretazione dei risultati. La realizzazione di una nuova tecnica viene comunicata come una scoperta e, allo stesso modo, è giudicata dalla comunità scientifica internazionale. Sempre più di frequente accade che nuove tecniche si affermino e si diffondano in breve tempo, e consentano il compimento di un salto di qualità a tutti gli studi di quel settore. Si può, piuttosto, rilevare la tendenza di molti ricercatori a tenere per sé idee innovative o risultati, fino a quando non siano pronti per essere pubblicati.

Le comunicazioni che abbiamo ricevuto, così come l’articolo di Shannon Palus (Make Research Reproducible, Scientific American 319 (4): 48-51, October 2018), ci appaiono come una forzatura giornalistica nel voler mettere insieme lavori scientifici imperfetti o francamente erronei con studi di ambito psicologico, non correttamente strutturati, anche perché non finalizzati ad acquisire una nuova conoscenza, ma solo a confermare idee già dominanti da lungo tempo in quel campo del sapere.

 

Notule

BM&L-09 marzo 2019

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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